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Il Monastero Ieri ...

Il Monastero si inserisce nell'opera di riforma e di ritorno alle origini che dal quattrocento in poi investe e rinverdisce con opere si santità e di apostolato l'Ordine francescano, e di cui S. Bernardino da Siena in Italia e S. Pietro d'Alcantara in Spagna sono gli epigoni che hanno lasciato il segno di santità e perfezione in tante generazioni di frati.

Francesca Farnese Fu la Venerabile Francesca Farnese delle cinque piaghe di Gesù, morta in concetto di santità nel 1651, già monaca del Monastero di S. Lorenzo in Panisperna a Roma, che alla notizia della morte di San Pier Battista e compagni, uccisi in Giappone per la fede di Cristo, s'infiammò tutta del desiderio di imitarli e convertitasi, ebbe l'ispirazione di fondare cinque monasteri di clausura che, seguendo l'esempio di S. Chiara, vivessero in penitenza, isolamento e preghiera in riparazione delle cinque piaghe della crocifissione. In vita potè realizzare la costruzione solo dei primi quattro monasteri, Farnese, Albano, Palestrina e la 'Concezione' di Roma (ormai distrutto), ma desiderava fondarne un altro a Fara Sabina che fosse centro di vita spirituale più perfetto; doveva essere il Monastero dedicato al Sacro Costato, perchè più staccato dal mondo ed immerso nella meditazione e contemplazione del suo amore infinito.

Card. Francesco Barberini Purtroppo sorella morte mise fine al progetto di suor Francesca che confidatasi con il Cardinale Francesco Barberini trovò in lui un solerte sostenitore e realizzatore dei suoi desideri.

Nella lunga vita del Cardinale Barberini forse nessuna impresa rispecchiò tanto le sue aspirazioni religiose quanto la fondazione di questo Monastero.

Nel 1672, il P. Giovanni di S.Maria, alcantarino, padre, maestro e confondatore con il Cardinale Francesco Barberini di questo nuovo Istituto, si recò a Fara, per incarico dello stesso Cardinale, per guidare la fabbrica del monastero, eretto poi canonicamente il 2 aprile 1676 da papa Clemente X, e redigere le Costituzioni che , dopo varie e successive modifiche furono approvate con decreto del Papa Innocenzo XI (il beato Odescalchi) in data 28 marzo 1678.

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Le Costituzioni Antiche

Le Costituzioni, quindi, regolavano la vita delle monache farensi affinchè corrispondesse all'ideale della Venerabile Farnese che nella sua riforma voleva un distacco totale dal mondo, il massimo rigore nella penitenza, grande spirito di orazione e di unione con Dio e amore alla solitudine e al silenzio.Lo stesso Monastero di Fara venne denominato "Monastero della Solitudine di Santa Maria della Provvidenza soccorrente di solitarie scalze di S. Chiara". Si possono sintetizzare le antiche Costituzioni in quattro i punti:

-non è permesso di tenere "zitelle" da educare, per questo il Cardinale Barberini, con generosità, le provvide di che vivere;

-una volta professata la Regola non è permesso accedere al parlatorio neanche per la visita dei parenti più stretti;

-non si scrive a nessuno, nemmeno ai genitori;

-quando alla Superiora giungono notizie liete o tristi dalle famiglie, non le comunica all'interessata.

Ecco come si esprimono le Costituzioni al cap. I, n.13: "Et acciochè nell'avventurate Solitarie sia sempre abolita I'inquieta memoria del Secolo temuta tanto da gli antichi Padri dell'Eremo, e da tutte le vere Spose del figliol di Dio, perchè I' humane rimembranze facilmente oscurano I'intera vista e la luce dello spirito, macchiano la purità della mente, e svegliano i movimenti naturali di vana, inutile e inquieta allegrezza, o mestizia, secondo la qualità delle novelle, o buone, o ree, ch'elle siano, si ordina a tutti li nominati neI numero antecedente, che nè meno diano parte ad esse Solitarie della morte, infermità, ò altra disgrazia, felicità, o bisogno de' parenti, amici, o altri qualsiasi, fuorchè i Superiori; ma semplicemente senza esprimere in particolare nè la persona, nè il bisogno, dicano queste sole, e precise parole: si raccomanda un bisogno alle loro orationi, per il quale si prega, che applichino una Comunione, disciplina, e più, o meno, conforme sia più, o meno grave il bisogno".

II Monastero era isolato dal mondo, le piccole aperture con grate servivano solo per ricevere la S. Comunione, per confessarsi e per conferire con i Superiori. C'era la grata anche nella finestrella donde passava il desinare.

Perchè fossero eliminati anche indiretti contatti e richiami del mondo e dei suoi splendori, alle monache era proibito fare i dolci per qualsivoglia persona, fare ricami in oro, in argento, o in seta (eccezione solo per le tovaglie dell'altare).

Per meglio mantenere il raccoglimento interiore, le monache lavoravano in cella, ove, tolto il tempo delle preghiere corali e dei pasti passavano tutta la giornata.

Era loro permesso il lavoro manuale nell'orto, per più di un'ora al giorno, però ciascuna doveva avere il suo pezzo di terra che lavora da sola ed in silenzio seguendo gli ordini di un'ortolana (cap. XVII, n.8). È permesso mormorare devote canzoni, quando fosse utile a scacciare distrazioni. Anche quando si accedeva alla grata delle Marte per chiedere qualcosa, non doveva essere rotto il silenzio; le richieste andavano scritte su delle tavolette "come introdusse la Ven. Madre suor Francesca Farnese" (cap. XX, n.8).

Per colloquiare tra loro, le Marie utilizzavano dei segni convenzionali cosicchè il silenzio era l'unica "voce" che si udiva nel monastero.

Nell'orto vi erano delle devote cappellette ove le Eremite, in tempo di esercizi spirituali ed in altre circostanze, col permesso della Superiora, potevano ritirarsi per passare l'intera giornata in digiuno e completa solitudine.

Nelle stanze delle monache piccole e povere dovevano esserci stampe ed immagini di santi eremiti e non doveva mancare quella di S. Brunone. La vita eremitica praticata dai Santi del deserto è un pò il loro ideale cui sacrificano tutto il resto.

Le Costituzioni rimasero in vigore fino al 1963.

 

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Le Marte e Le Marie

In questo monastero la comunità era divisa in due famiglie religiose, quella delle Marte e quella delle Marie facenti capo ad un'unica Superiora scelta tra le Marie.

Perchè siano eliminati anche indiretti contatti e richiami del mondo e dei suoi splendori, alle monache era proibito 'perpetuamente' fare i dolci per qualsiasi persona. Non potevano fare ricami in oro, argento o in seta; si faceva eccezione solo per le tovaglie dell'altare.

Nell'orto vi erano delle piccole cappelle ove le Eremite, in tempo di esercizi spirituali ed in altre circostanze, col permesso della Superiora, potevano ritirarsi per passare l'intera giornata in digiuno e completa solitudine.

Nelle piccole e povere stanze delle monache dovevano esserci stampe ed immagini di santi eremiti. La vita praticata dai Santi del deserto era un po' il loro ideale cui sacrificavano tutto il resto.

 

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Il Monastero Oggi ...

Il Monastero continuò per quasi trecento anni la sua eroica vita nascosta, conservando gelosamente intatte le sue strutture, finchè nel 1870 fu soppresso e poi riscattato a suo tempo. Ma le prove non erano ancora terminate: nel 1944 aerei americani lo devastarono con un duplice lancio di bombe, certo ignari di colpire un luogo consacrato alla preghiera e all'amore.

Le tristi vicende della guerra ebbero gravi conseguenze e pregiudicarono l'avvenire del Monastero. Quelle bombe distrussero con le sue strutture edilizie un mondo suggellato di inviolabili tradizioni e aprirono uno squarcio nella inaccessibile clausura.

La Chiesa con provvida lungimiranza intervenne per risanare le ferite e nel 1963 unì il Monastero con quello di S.Chiara in Rieti. L'Abbadessa, per un decreto speciale della Sede Apostolica, era una per entrambi i Monasteri con la facoltà di spostare le monache da un monastero all'altro a seconda delle necessità. Le ultime cinque sorelle del monastero di Fara che fino allora osservavano la Regola di Urbano IV e le Costituzioni del Barberini, passarono definitivamente alla Regola di S.Chiara e alle Costituzioni allora in vigore. Le Clarisse, nella persona di Madre Beatrice Mistretta, si misero al lavoro con pazienza e coraggio restaurando le vetuste e fatiscenti strutture e ricreando l'ambiente di grande valore storico e architettonico tramandato nei secoli.

I due monasteri procedono insieme, legati dalla volontà di Dio e dal volere dei Superiori fino al 1980 anno in cui la Santa Sede dichiara autonomo il monastero di Fara Sabina da quello di Rieti; d'ora in poi ogni monastero avrà la propria abbadessa e la propria comunità.

Dal 1988 il Signore ha mandato le prime vocazioni.

Ma per tutte si preparava il momento della prova: dal dicembre del '94 al gennaio 2006 morirono due sorelle anziane e la Madre Abbadessa che ci aveva accolto. Rimanemmo in tre in comunità: una anziana e due giovani.

Il Signore ci chiedeva di fidarci di lui. E veramente non ci abbandonò perchè iniziarono a venire altre giovani.

 

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Il Ritorno alla Vita Eremitica

È vero che la nostra peregrinazione nella fede termina solo con la visione del volto di Dio!

Noi ne avevamo parecchia di strada da fare! Infatti col passare degli anni, sia io che le altre, cominciammo a sentire la necessità di dedicare più tempo alla preghiera e di vivere una dimensione più solitaria della nostra vita contemplativa. Il Signore pian piano ci ha portato alla scelta della vita eremitica in una forma rinnovata rispetto al passato.

Non è stata una scelta facile anche perchè ognuna di noi aveva una idea diversa di vita eremitica. Il Signore è venuto ancora in nostro aiuto facendoci ricordare di un "progetto di vita" scritto da Madre Beatrice Mistretta per questo monastero negli anni '70. Tutte le scelte che avevamo fatto fino a quel momento erano in profonda sintonia con quel progetto di vita eremitica. Inoltre c'era posto per tutte perchè ogni sorella aveva la possibilità di scegliere o la forma di contatto con l'esterno o una vita più ritirata. Iniziava un nuovo capitolo della nostra storia. Era desiderio di tutte cambiare stile di vita e la Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica ci suggerì di riscrivere le Costituzioni che poi sono state approvate, ad experimentum, il 25 ottobre 2006. Il testo ripreso in gran parte dalle Costituzioni del 1988 delle Clarisse dei Minori, è stato rinnovato con l'aggiunta di vari articoli e di un capitolo in particolare che riguardano la vita eremitica vissuta in questo Monastero. Ora stiamo vivendo questa avventura nella certezza di essere nella volontà di Dio e sulle orme di Francesco e Chiara d'Assisi.

Quali sono le differenze fondamentali con la vita che vivevamo prima?

1 . Uno stile di vita eremitica per il quale, pur condividendo la preghiera, i pasti ed altri momenti, il lavoro viene svolto in solitudine, inoltre la possibilità, per chi lo desidera di vivere fino ad un mese eremitico durante il quale viene vissuto con la comunità solo il pranzo della domenica. Ed ancora la possibilità, per chi ne fa richiesta, alla Madre e alla comunità, di vivere in maggiore solitudine, mantenendo i rapporti comunitari, ma diminuendo i rapporti esterni.

2 . La Clausura non è più papale, ma Clausura monastica, determinata dalle Costituzioni perchè ci è sembrata più adatta alle aspettative e alle esigenze del mondo di oggi. Questo cambiamento non è altro che una codificazione di ciò che già vivevamo: l'accoglienza per i gruppi di preghiera, convegni culturali, persone che hanno necessità di un momento di preghiera, giovani per il discernimento vocazionale o desiderose di conoscere più da vicino la nostra vita, l'uscita per i corsi di formazione e per tutto ciò che non si può delegare ad altri.

3 . Altro punto è l'aver dato maggior importanza al Capitolo Conventuale perchè ci sembra più evangelico condividere con tutte le sorelle "le cose da decidere per il bene del monastero", tuttavia, per questioni importanti la Madre, può servirsi del Discretorio.

4 . Abbiamo inoltre due corsi di esercizi spirituali l'anno, uno guidato, l'altro in solitudine e ogni giorno tre ore fra lectio divina e meditazione, oltre ad un'ora di studio che per noi è molto importante per la formazione umana, spirituale e culturale.

 

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Santi in visita al Monastero

Nel corso dei secoli il nostro Monastero è stato visitato da più di un Santo. Ricordiamo san Leonardo da Porto Maurizio francescano nei primi anni del '700 e il beato Placido Riccardi benedettino della vicina Abbazia di Farfa che fu per molti anni confessore delle monache.Così anche immaginiamo il beato Ildefonso Schuster benedettino in visita al monastero negli anni di formazione a Farfa e quando venne all'Abbazia per valutare le modalità di un aiuto per la ripresa dell'osservanza monastica.È bello poter annoverare tra i nostri ospiti così numerosi Santi legati a questo monastero non solo da servizi ed uffici particolari, ma anche dall'amicizia e dalla santità delle sorelle che lo abitavano.

 

 

San Leonardo da Porto Maurizio

La visita di san Leonardo da Porto Maurizio nel nostro Monastero di Fara Sabina, è nella tradizione e nella memoria delle monache che si tramandano la notizia di generazione in generazione, tuttavia, trovare una testimonianza scritta di queste visite, perchè sono più di una, è stato veramente importante per la storia della nostra Comunità. Tra l'altro san Leonardo ha scritto anche una lettera per le monache eremite datata 3 luglio 1745 dove indica alle monache un metodo breve per diventare sante.

 

Prima visita (settembre 1739). Nel Libro Opere complete di s. Leonardo da Porto Maurizio missionario, apostolico, minore riformato del ritiro di san Bonaventura in Roma, riprodotte con alcuni scritti inediti in occasione della sua canonizzazione, Volume 5, Venetia, Tipografia Emiliana, 1869, alle pagine 74-75 si dice che terminate le missioni popolari a Pergola, il 4 settembre del 1739, dopo qualche giorno si recò a Salisano per benedire la via Crucis e poi “di là partì per la Fara, andando a riposare nella Foresteria delle monache Romite, le quali provarono molta consolazione, per non averlo mai veduto, e fu pregato da' signori di questa terra a fare una predica, e la fece sopra la morte. Dopo partì, ed andò al convento di s. Maria in Sabina, luogo di noviziato, e vi si trattenne due giorni;”.

Da quanto viene detto sembra che sia il primo incontro tra le Eremite di Fara e san Leonardo. La lettera che il Santo scrive alle Romite di Fara è del 3 luglio 1745 e all'inizio dice che ha sentito parlare di loro da padre Giovanni Battista da Varallo suo "amatissimo compagno". Dunque padre Giovanni Battista deve aver conosciuto le Romite, con molta probabilità, prima del 1739.

 

Seconda visita (dal 10 al 12 novembre 1741). Nuovamente, a pagina 106 di detto libro si parla di una seconda visita. Siamo ai primi di novembre del 1741. Il 28 ottobre san Leonardo inizia le missioni popolari “nella terra di Fara, abbadia di Farfa”. “Nei giorni seguenti poi andò alle monache del terz'Ordine di santa Chiara per predicarvi e confessarle, come anche, per raccomandazione speciale dell'eminentissimo signor Cardinale Rezzonico (Carlo Rezzonico senior futuro papa Clemente XIII) predicò e confessò le monache Romite di molta austerità sotto la direzione de' padri del Ritiro di san Bonaventura di Roma, e per la divozione che aveva a tali religiose vi si fermò per consolarle, tre giorni interi con molto suo contento per la bontà singolare di quelle religiose. Il dì 12 novembre partì per Toffia e lo stesso giorno principiò le missioni in quella terra.”. Dunque si ferma e pernotta nel nostro monastero dal 10 al 12 novembre 1741.

 

Terza visita (4 febbraio 1742 e ancora il 28 marzo 1742). Ancora a pagina 110 si dice che il 27 gennaio 1742 si recò a Monte Santa Maria per le missioni popolari che terminò il 3 febbraio. “Il giorno dopo partì per Toffia, dove aveva a fare il discorso mistico e morale a tutto il clero Farfense, ma per varie differenze stimò bene trasferirlo in altro tempo con darne previa notizia all'Eminentissimo Cardinale Passionei, Abate commendatario; onde partendo se ne andò alla Fara, e resa ubbidienza al superiore di quel convento, portossi a celebrare la santa messa al monastero delle Romite di santa Chiara, vi si trattenne per spirituale consolazione di quelle religiose sino al dopo pranzo, andandosene lo stesso giorno al convento di santa Maria delle Grazie di Ponticelli luogo del noviziato del nostro Ritiro, dove trattenendosi due giorni, si ritirò alla solitudine di sant'Angelo per farvi i santi esercizi, e vi si trattenne per tutta la quaresima, nel qual tempo ricevette molte lettere dal Vescovo di Veroli, dal Vescovo di fondi, dal Vescovo di Alatri e dalle comunità e clero di quei paesi, acciocchè s'interponesse a non fare il rilascio dei conventi di Pofi e Vallecorsa. Nella detta festa di Pasqua, la mattina si partì per santa Maria delle Grazie, per andarsene la sera a Toffia, dove dietro l'ordine di Sua Eminenza doveva fare, conforme fece, il discorso mistico e morale a tutto il clero di quell'abbazia, facendovi ancora una predica a quel popolo, e vi si trattenne tre giorni per discorrere col segretario di Sua Eminenza venuto di Roma, e ripassando per la Fara per contentare l'eminentissimo Rezzonico, come protettore di quel monastero, visitò nuovamente quelle buone religiose del detto monastero, ed indi se ne tornò a santa Maria suo convento, da dove partendo arrivò a Palombara al convento del Ritiro dei PP. Osservanti.”.

Da questo lungo stralcio di Diario veniamo messi al corrente che nel 1742, a distanza di qualche settimana, visitò per ben due volte le Romite di Fara: la prima volta il giorno dopo la fine delle missioni a Monte Santa Maria e dunque il 4 febbraio, ma solo per mezza giornata, poi nella settimana di Pasqua di quell'anno e dunque il 28 marzo, dopo essersi fermato dal giorno di Pasqua, che quell'anno era il 25 marzo, per tre giorni a Toffia.

 

Quarta visita (27 febbraio-5 marzo 1747). Di questa quarta visita ne parla a pagina 228 e dice che la seconda domenica di Quaresima del 1747 san Leonardo giunse a Monterotondo e l'indomani, dopo aver celebrato dalle monache, “e brevemente consolatele, se ne partì, e dopo un penoso viaggio per la strada assai cattiva, fangosa e sassosa, giunse alla Fara, dove si trattenne tutta quella settimana per consolare compitamente tutte quelle religiose Romite. La domenica terza di quaresima partì ed arrivò la sera al nostro convento di s.Maria di Ponticelli.”.

Durante una missione al popolo a Monterotondo, nella quaresima del 1747, san Leonardo decide di far visita ancora una volta alle Romite di Fara. Dice dunque che vi giunge il giorno dopo la seconda domenica di quaresima del 1747, che rimane per una settimana e che la terza domenica di quaresima riparte alla volta del convento dei frati di Ponticelli. Calcolando che la Pasqua in quell'anno 1747 fu il 2 aprile, si può giungere ad affermare che la seconda domenica di quaresima in quell'anno era il 26 febbraio. Dunque giunse dalle monache, nel nostro monastero il 27 febbraio 1747 e vi rimase fino al 5 marzo.

 

Lettera alle Romite di Fara Sabina

Lettera di S. Leonardo Da Porto Maurizio diretta alle religiose Francescane Romite di Fara Sabina in cui si descrive un metodo breve per farsi Sante in poco tempo

DILETTISSIME SORELLE IN CRISTO
Ho avuto sommo piacere in sentire che sia stato vostro straordinario il P. Gio : Battista da Varallo mio amatissimo Compagno, il quale mi ha scritto mille lodi della vostra pietà, dicendo che siete sì buone Religiose eccet., e benchè ne abbia provato soddisfazione, non sono però contento; attesochè non vi vorrei solamente buone, ma sante, essendo tale il fine del vostro Istituto, e per esser sante non basta una bella apparenza; ma si richiede un buon fondo nell'interno fabbricato da una continua orazione, e dall'esercizio delle sante virtù praticate per quanto si può in grado eroico. Io sospiro quando vedo alcune Religiose che sono faccendiere, faticano dalla mattina alla sera incessantemente, e nell'esterno sono compitissime e molto attente in fare sì che il tutto cammini con buon ordine, ed economia ben regolata, e poi nell'interno le trovate canne vuote, cieche senza presenza di Dio, storte senza purità d'intenzione nell'operare e deboli in vincere le loro passioncelle che di continuo tiranneggiano i loro cuori. Quindi è che vivono sempre inquiete, annoiate, e non provano mai quanto sia soave il Signore, insomma sono martiri dell'amor proprio. Or ditemi, fra di voi ve ne sono di queste faccendone, tiepide, e dissipate? Me ne rimetto a voi. Non dico già che non si debba attendere alle faccende necessarie, e molto più quando sono ordinate dall'ubbidienza. Sarebbe tentazione il fare, o dire il contrario; ma dico che se l'esterno non sarà regolato dall'interno, faticheremo assai, e guadagneremo poco. Ma che abbiamo a fare per aggiustare questo orologio, acciò non sia così sconcertato? Ecco quel che dovete fare. Non basta aggiustare la linguetta al di fuori, ma bisogna dar di mano alle ruote di dentro, e queste sono le tre potenze dell'anima: Intelletto, Memoria, e volontà riformate ben bene queste tre potenze, e subito sarà riformata tutta l'anima, il vostro cuore nuoterà in un mare di pace, e vi godrete in terra un anticipato paradiso. Per dirvene qualche cosa ruberò il tempo alle mie occupazioni; ma guai a voi, se non ve ne approfittate.

Le suddette tre potenze Intelletto, Memoria e volontà si riformano con le tre Virtù Teologali Fede, Speranza e Carità. Volete esser Sante? Fate spesso atti di fede, speranza e carità, e questi vi santificheranno l'Anima. L'occhio della fede, ben purgato, è quello che rende un'Anima padrona di se stessa, e la guida per un sentier sicuro alla Eternità. Per tanto non vi contentate di una Fede viva ordinaria, e per dir così, speculativa, ma procurate in tutte le cose una Fede straordinaria non solo viva, ma attuata e pratica che rimiri Dio in tutte le cose, ed ordini tutte le cose a Dio, e con questa fede vivissima ridotta in atto, che si trova nella parte superiore dell'Anima, misurate tutte le cose; anzi a tutte le vostre azioni, massime alle principali, fermandovi alquanto, fate precedere un atto di fede, rinnovando la presenza di Dio dentro di voi, e con questo l'Anima vostra prenderà gran forza per operare con fervore.

O Sorelle benedette, gettate un si bel fondamento se volete essere sante, essendo certissimo che quanto più sarà attuata la vostra fede, crescendo le cose soprannaturali con maggior certezza di quello, con cui si credono le cose che attualmente si vedono, tanto maggiore sarà il fervore della vostra volontà per operare il tutto con perfezione. E per venire più al pratico: formatevi nel vostro cuore una solitudine mentale, e quivi ritiratevi più volte fra giorno, e chiudendo gli occhi del corpo, aprite l'occhio della fede, e rimirate il bellissimo Dio dentro di voi; esortandovi per quanto so e posso a ricever Dio non altrove che dentro di voi, cioè, nel centro dell'anima vostra, particolarmente in tempo dell'orazione, e quivi in oblìo di tutte le Creature, scordatevi affatto di tutte le cose sensibili, parlate, conversate con Dio ammirando le sue grandezze, e trasformatevi tutte in Dio, struggendovi d'amore verso il nostro amabilissimo Dio. Oh che dolcezza! Oh che Paradiso! Ed anche fuor dell'orazione avvezzatevi a riguardar nelle Creature la sola bontà di Dio, e non facendo conto alcuno della scorza esteriore, apprezzate solamente quel che si trova nelle Creature, che è Dio. E spero che riformato in guisa l'intelletto colla virtù della fede, l'orologio interiore non sarà si sconcertato, e vi riuscirà meglio l'esercizio di tutte le virtù e però vi consiglio a fare spesso atti di fede protestandovi spesso che credete tutti i misteri, che propone la santa Chiesa, perchè la prima infallibile verità, che è Dio, li ha rivelati. Santa Maria Maddalena dei Pazzi ogni volta che diceva il Gloria Patri nel coro faceva questa protesta con sì gran fervore, che impallidiva, come se allora fosse decapitata per la santa fede. Fate l'istesso ancor voi, ed oh quanto merito ne riporterete!

La seconda potenza dell'anima, che è la Memoria, si riforma colla virtù della Speranza, che riguarda il possedimento di Dio come Bene nostro. Ecco lo scoglio dove urtano una gran parte delle Religiose, le quali si tappinano, si angustiano, si disperano, e da se stesse si vogliono cacciare a forza nell'inferno. Oh che pazzia! Siano i vostri peccati passati senza numero, la Misericordia di Dio è sempre infinitamente maggiore della vostra malizia. Ma Padre, che vi pare ci salveremo noi? Vi ho da dire il mio sentimento? Io vi dico che tengo questa opinione in capo, che tutte le Monache della Fara si salveranno, e però sperate, sorelle, e sopra sperate che vi salverete. Ma non mi basta; desidero che la vostra speranza passi in fiducia, che è una speranza robustissima, procurando di avere un concetto sì grande della Misericordia di Dio, che fondata sui meriti infiniti del nostro Signore Gesù Cristo, quali spesso vi applicherete, ed offrirete a questo fine all'Altissimo, e sul valore dell'Indulgenze, Sacrifizi, e atti di contrizione che vi consiglio a fare spessissimo, dico che potete sperare di salvarvi senza toccar Purgatorio. Nè questa speranza straordinaria vi potrà nuocere, anzi giovarvi, perchè non escludendo un santo timor filiale, risulta in onor di Dio, e vi renderà più diligenti nell'operare, mentre per questo santo fine dovete proporre di evitare non solo i peccati gravi, ma anche i peccati veniali, e le imperfezioni più minute, usando gran diligenza per acquistar molte Indulgenze, ascoltar tutte le Messe che potete, e vivere con tutta esattezza in tutto ciò che concerne il vostro profitto spirituale. Fate tutto questo, ed io per me dico che ve ne anderete a dirittura al santo Paradiso. Oh benedette voi! Baciate coteste sante mura che vi stringono sì, ma per voi sono l'anticamera del santo Paradiso. Ed acciò speriate con fondamento, non fate gran conto delle vostre operette che andate facendo, che alla fine sono paglie, ma ecco i quattro fondamenti che renderanno stabile la vostra speranza. Sperate che Dio vi perdonerà i peccati, e vi concederà la gloria del santo Paradiso ed ogni bene, perchè è fedele, perchè è misericordioso, perchè è onnipotente. Fondatevi su questi grandi motivi, e poi domandate tutte le grazie, e le otterrete «Petite, et accipietis». E però servitevi di quell'amorosa giaculatoria: Gesù mio misericordia: e ditela cento e mille volte al giorno, e con essa dimandate spesso la perseveranza finale, e la grazia di amare Dio con amore intensissimo, e ferventissimo.

La terza potenza, che è la Volontà, si riforma colla virtù della Carità, che riguarda Dio come sommo bene, anzi come un mare immenso di tutti i beni, che contiene in sè tutti i beni possibili ed immaginabili, e però deve amarsi per se medesimo, perchè merita di essere amato da tutti i cuori. Or qui, sorelle, vorrei che impiegaste tutte le vostre premure, e vi protestaste che di qui innanzi questa bella virtù della Carità e di amor di Dio sarà il bersaglio di tutti i vostri pensieri, fini, movimenti, ed operazioni: anzi protestatevi di non voler deliberatamente cosa alcuna, che sia opposta al santo amor di Dio. Non dico che ne facciate Voto, ma vi consiglio bensì a fare un proponimento stabilissimo di cercar sempre il più perfetto per dar maggior gusto a Dio, e di non voler commettere mai peccato veniale con piena avvertenza. E quando mai accadesse il caso, stimate questa la maggior disgrazia che vi possa accadere in questa vita, e piangetela innanzi a Dio. Acciò vi riesca di mantenervi cosi illibate e pure non solo da' peccati veniali avvertiti, ma anche da difetti più piccoli, attendete ad una continua presenza di Dio, annegazione della volontà propria, e passioni, anche in cose minime, apprezzando come tesori i disprezzi, le mortificazioni, le infermità, i dolori, la povertà con tutti l'incomodi che seco porta la vita povera, religiosa, e penitente, anzi procurate d'inclinare alle austerità, e benchè l'Ubbidienza con ragione non ve lo permetta, almeno desideratele, almeno abborrite le delicatezze, acciò sappia tutto il Paradiso, che il vostro desiderio è di amare Dio perfettissimamente conforme l'hanno amato tutti i Santi; anzi di stare in continuo esercizio di amore verso Dio, eccitando spesso nel vostro cuore quei quattro atti di amore che rubbono il cuore a Dio; cioè atti di amore di compiacenza, compiacendovi che Iddio sia cosi bello, cosi buono, cosi santo, e che sia un complesso di tutte le perfezioni. Atti di amore di benevolenza, desiderando che Dio sia amato da tutte le Creature, e in maniera, che tutti l'amino, lo lodino, e lo benedicano. Atti di amore di preferenza, stimando più Dio che tutto il creato insieme, anzi stimando un niente tutto ciò che non è Dio, apprezzandolo come il primo amabile, il primo stimabile. Atti di amor doloroso, facendo spesso atti di amarissima contrizione per averlo tanto offeso.

Vi lamenterete adesso più con dire che nell'orazione non sapete che fare? Non sapete che fare? Ecco quel che avete a fare: atti di fede, atti di speranza, ma molto più atti di amor di Dio descritti di sopra. Questo dovrebbe essere il vostro continuo impiego dalla mattina alla sera, intrecciando di continuo colle vostre azioni atti intensissimi di amor di Dio; allora sarete vere Maddalene, allora attenderete a quell'Unum necessarium tanto raccomandato dal Signore. Non vi si dice che non v'impieghiate ne' vostri lavori, ma vi si dice che lavorando le braccia, il cuore non stia ozioso, ma tutto si strugga in atti di amore verso il nostro amabilissimo Dio. Ed acciò vi riesca, almeno cinque volte al giorno fate con tutto il fervore possibile un'intera conversione a Dio, come se allora incominciaste la vita spirituale, protestandovi in quell'atto di volerlo amare ferventissimamente, intimamente, continuamente, rivoltando le spalle a tutte le Creature, e di volervene stare nella suddetta solitudine mentale, riguardando solo Dio con l'occhio della fede, ed amandolo con tutto il fervore della volontà senz'aver altro fine, che di dargli gusto in tutte le cose.

Oh benedette voi! Se mi ubbidirete, spero che a capo di pochi mesi diventerete tutte sante e perfette. Prego Maria Santissima ad imprimervi queste verità nel cuore, con darvi aiuto di porle in pratica con tutta puntualità. Avrei molte altre cose da dire, perchè desidero che cotesto Santuario si mantenga nel suo primiero fervore, e però fate conto delle piccole inosservanze. Tutte le Religioni sono state fondate in gran perfezione, ma perchè si sono trascurati i piccoli difetti, ne vediamo molte decadute, e molto più se sotto pretesto di compassione si pretendesse slargare lo Statuto. No, sorelle, non acconsentite a sì gran disordine. Arrivo a dirvi, se scendesse un Angelo dal Cielo, e vi persuadesse maggior larghezza, tenetelo per sospetto, perchè Iddio vi ha dichiarata la sua volontà nei Statuti, che sono stati approvati dai superiori; osservando quelli, siete sicure di fare la Volontà Santissima di Dio, il quale vi darà forza per osservarli se in Lui confiderete. Dovrei parlarvi dell'orazione, e del silenzio, che sono appunto i due passi più difficili per molte Religiose, le quali si accomodano a tutto, ma per tenere in freno la lingua, e raccolto il cuore con Dio nell'orazione, non vogliono affaticarsi punto. Contuttociò se terrete purgato l'occhio della Fede, e bene ordinata la Speranza, ed infervorato il cuore colle fiamme dell'Amore di Dio, vi riuscirà facile l'orazione, e difficile la trasgressione del santo silenzio, sì necessario in tutte le Religioni. Dio vi benedica, e pregate per me, acciò il Signore mi dia grazia di convertire molte Anime, e d'impedir molti peccati, e poi di morire consumato dall'amor di Dio. Viva Gesù.

Da Levante nelle Riviere di Genova questo dì 3 Luglio 1745.

Car. in Cristo. Fr. Leonardo da Porto Maurizio

povero peccatore

 

 

 

San Leonardo da Porto Maurizio

S. LEONARDO DA PORTO MAURIZIO
Gran missionario dell'Italia nel secolo XVIII
Il suo corpo si venera in Roma nella Chiesa dei Frati Minori
Di S. Bonaventura al Palatino.(Festa il 26 Novembre)

San Leonardo nacque a Porto Maurizio il 20 dicembre 1676 da piissimi genitori cristiani. Ancor giovanetto fu mandato a Roma ove attese agli studi nell'Università Gregoriana. Crebbe di virtù in virtù e per maggiormente servire a Dio domandò ed ottenne di indossare l'abito dei Frati Minori nel convento di S.Francesco a Ripa, destinato poi nei ritiri fondati dal B. Bonaventura da Barcellona. Fu religioso di singolare santità e perfetto imitatore de Serafico Padre S. Francesco. Desiderò dapprima di recarsi alle Missioni nelle barbare regioni per dare il suo sangue in conferma della fede di G.C.; ma la divina provvidenza dispose diversamente facendolo il grande Apostolo dell'Italia nel secolo XVIII, avendo impiegato 44 anni continui nelle SS. Missioni in moltissimi paesi e città d'Italia ed in particolare nella Sabina e in Roma, con immenso frutto delle anime e innumerevoli conversioni ottenute dall'efficacia della sua parola e più che mai dalle sue austere penitenze e dalla sua vita evangelica. Fu indefesso propagatore della devozione al SS. Nome di Gesù e della Santa Via Crucis. Consumato dal continuo apostolato, siccome aveva promesso al Pontefice Benedetto XIV di lasciare il suo corpo a Roma, volò al Signore nello storico Convento di S. Bonaventura al Palatino il 26 Nov. 1751. Fu beatificato dal Pontefice Pio VI, e Pio IX lo santificò solennemente nell'anno 1867.

 

Beato Placido Riccardi

Il beato Placido Riccardi, visitò più volte il nostro Monastero perchè, dalla sua venuta all'Abbazia di Farfa nel 1895, fu il confessore delle nostre monache fino al 1912.

 

Beato Placido Riccardi

Il Beato Placido Riccardi
Il suo corpo si venera nell'Abbazia di Farfa
(Martirologio Romano - 25 marzo - n.15)

Placido Riccardi, nacque a Trevi il 24/6/1844, da Francesco e Maria Stella Paoletti, terzogenito di dieci figli. Nel 1853 entrò nel Collegio Lucarini ove si distinse come attestano numerose menzioni e medaglie conferitegli. Nel 1862, chiuso il Collegio Lucarini per motivi politici, si pose sotto la direzione spirituale di Don Ludovico Pieri, un santo sacerdote trevano, padre spirituale e ispiratore del beato Pietro Bonilli. Nell'atto di licenziarsi dal Pieri per proseguire gli studi a Roma, questi gli profetizzava la futura vocazione. Appena un anno dopo (12/11/1866), dopo un pellegrinaggio a Loreto e un corso di esercizi spirituali, bussava alla porta dell'Abbazia di S. Paolo. Ammesso al noviziato (5/1/1867) col nome di Tommaso, fu ordinato Suddiacono il 2/4/1870 e Diacono il 24/9/1870. Ebbe vari incarichi: Vice Maestro degli Alunni, Maestro dei Novizi, Vicario Abbaziale delle Benedettine di S. Magno ad Amelia in due diverse epoche. Nel 1895 venne a Farfa, dove fu inviato per tentar di salvare l'Abbazia che era ridotta in condizioni miserrime. Don Placido rivolse la sua attenzione alla gente, generalmente poveri pastori che andavano da lui dopo la Messa della domenica aiutando tutti spiritualmente e materialmente. Si dice che fornisse anche suggerimenti e rimedi medicamentosi descritti negli antichi codici. Fin dal 1895 assunse anche l'incarico di Confessore delle Monache Eremite di Fara Sabina manifestando anche qui l'amore per le anime, incarico che si protrasse fino al 1912. Si racconta che una delle Monache, una certa sr.M.Chiara, nativa di Brescia, di famiglia benestante, era entrata in Monastero in età adulta. Da novizia, non essendo abituata alle ristrettezze trovò non poche difficoltà nella vita di tutti i giorni, come il dover andare completamente scalza, il dover adoperare il lume senza possibilità della luce elettrica ecc… Così che spesso era tentata di tornarsene a casa, ma il beato la rassicurò dicendo che non sarebbe mai uscita da questo Monastero se non dopo la morte. Così fu perchè nel 1963, quando si iniziarono i lavori di restauro del Castello, si sarebbe dovuta trasferire in un altro Monastero, ma durante notte si alzò la febbre e, nonostante fosse tutto pronto per la partenza, il giorno dopo non potè mettersi in viaggio. Morì poco dopo in quello stesso anno senza essere mai uscita dal Monastero come predetto dal beato.Dopo quasi venti anni di permanenza a Farfa, nel 1912, il suo fisico già da sempre poco florido, ulteriormente fiaccato da una vita di penitenze e di privazioni, era tanto debilitato che il sant'uomo dovette essere ricondotto a Roma. Visse ancora due anni e mezzo, assistito dal suo discepolo ed amico don Idelfonso Schuster, poi cardinale, vescovo di Milano e suo biografo. Spirò la sera del 15 marzo 1915 e il giorno seguente, quando la salma fu trasportata nella Basilica, per errore le campane suonarono a festa.Nel 1925 il corpo fu traslato a Farfa e nel 1928 iniziò il processo di canonizzazione, ma soltanto negli anni Cinquanta Pio XII lo proclamò Beato.

 

Beato Ildefonso Schuster

Il Beato Ildefonso Schuster, visitò più volte il nostro Monastero, prima durante il suo periodo di formazione a Farfa dove ebbe come maestro il beato Placido Riccardi, poi durante la sua venuta all'Abbazia nel 1920 per valutare le condizioni della stessa e le modalità di aiuto che poteva dare per risollevare la vita monastica. Nel suo Epistolario parla di questo Monastero e delle Eremite.

 

Beato Ildefonso Schuster

Il Beato Ildefonso Schuster
Il suo corpo si venera nel Duomo di Milano
( Martirologio Romano - 30 agosto)

Alfredo Schuster nasce a Roma il 18 gennaio 1880 da Giovanni e Maria Anna Tutzer. Rimasto all'età di undici anni orfano di padre, e viste le sue doti per lo studio e la sua pietà, fu fatto entrare, dal barone Pfiffer d'Altishofen, nello studentato di S. Paolo fuori le mura nel 1891 dove il 12 novembre 1898 inizia il noviziato col nome di Ildefonso, emettendo i primi voti il 13 novembre 1899 e quelli solenni e definitivi il 13 novembre 1902. Ebbe come maestri il Beato Placido Riccardi e don Bonifacio Oslander che l'educarono alla preghiera, all'ascesi e allo studio. Dalla vita di d. Placido - conosciuto per la prima volta a Farfa nell'agosto del 1895 - il giovane Schuster apprenderà soprattutto come si fa in concreto ad amare Dio con tutto il cuore, l'anima e le forze. La giornata di d. Placido è un intreccio mirabile di preghiera e penitenza. Poichè ama Dio con tutto se stesso, d. Placido gli riserva ore ed ore di ascolto e di colloquio. Pregava di giorno e pregava di notte; pregava in chiesa e in cella; pregava dappertutto e sempre. E pregava bene. Le testimonianze di chi l'ha conosciuto sono concordi su questo punto. A. Schuster, giovinetto di quindici anni, ma già preso dal problema di Dio e del suo amore, si lascia totalmente conquistare dall'esempio umile e forte di quel suo confratello che proprio perchè ama Dio con tutto se stesso è divenuto soprattutto un orante. Così si darà ad imitarlo con decisione e costanza. A tal punto che la preghiera diverrà, anche nella vita di Schuster, la caratteristica più eminente ed attraente. Si laureò in filosofia al Collegio Pontificio di Sant'Anselmo a Roma. Monaco benedettino nell'abbazia di S. Paolo fuori le mura, venne ordinato sacerdote il 19 marzo 1904 in S. Giovanni Laterano. A soli 28 anni era maestro dei novizi; in seguito divenne procuratore generale della Congregazione Cassinese, priore claustrale e nel 1918 abate ordinario di S. Paolo fuori le mura. Il 15 marzo 1920 manda nove monaci di S. Paolo a Farfa e riprende l'osservanza Monastica integrale. Fu nominato da Papa Pio XI (Ambrogio DamianoAchille Ratti, 1922-1939) arcivescovo di Milano il 26 giugno 1929 e cardinale il 15 luglio 1929. Governò la diocesi in tempi difficili per Milano e per l'Italia. Prese come modello uno dei suoi predecessori più illustri: S. Carlo Borromeo. Sarà pastore buono, padre e maestro della Chiesa ambrosiana fino alla sua morte, avvenuta a Venegono il 30 agosto 1954. Il 12 maggio 1996, Giovanni Paolo II lo proclama Beato.

 

 

 

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